Nellimmaginario dei cultori dei miglior western a stelle e strisce, appare la locandina del mitico film del 1948, diretto da Howard Hawks ed interpretato da John Wayne e Montgomery Clift ma da noi, in Puglia, si tratta di tuttaltra cosa. A Taranto in tanti hanno filmato il grosso scolo di acqua piovana, che defluendo verso il porto (avvelenando anche il mare), si è portato con se i residui del pulviscolo rosso – frutto delle polveri siderurgiche – che da decenni colora gli stabili limitrofi al famigerato impianto industriale dellIlva. Limpressionante fiume rosso è così divenuto una sorta di rappresentazione dellorribile condizione, letale, che incarna lorribile incidenza di questi veleni nellaria. “Non é il ferro dellIlva ma il sangue dei tarantini”, denuncia giustamente qualcuno su social; un altro scrive che “è ora di salvaguardare la salute dei Tarantini”. La realtà è infatti a dir poco emergenziale, nonostante anni di chiacchiere qui si continua a morire e lincidenze di terribili mali non segnato nessuna tregua. LiLva purtroppo ha motivo di essere perché altrimenti qui sarebbe la fame. E come in una sorta di roulette russa, si è costretti a pensare che piuttosto che morire sicuramente di fame, val la pena rischiare. Ma la popolazionenon ne può più. “Qui, a Taranto vento e pioggia fanno paura – scrivono in una sorta di appello alcuni cittadini rivolgendosi al premier Gentiloni e ai ministri Calenda e Galletti – guardate le immagini, signori del Governo di questa Italia e vergognatevi. Almeno un po. Guardate quello che combina ciò che considerate produzione strategica per la nazione”. Come non dargli ragione?
M.